giovedì 15 maggio 2008

Antonio Dalla Venezia, presidente della FIAB, prende posizione sulla  questione della (in)sicurezza  dei ciclisti con una lettera aperta diffusa subito dopo l'ennesimo terribile incidente avvenuto su una pista ciclabile.


Il gravissimo incidente in Val Venosta - dove una moto che percorreva una pista ciclabile ha investito, sotto gli occhi dei genitori, un bambino di 9 anni in sella alla sua bici, cagionandone la morte - avviene a solo pochi mesi di distanza dall’altro analogo incidente avvenuto a Bormio e ripropone ancora una volta l’assenza di una politica locale e nazionale che abbia come elemento strutturale una vera “cultura della sicurezza”. E per cultura della sicurezza in senso sostanziale, e non formale, non intendiamo quella che si limita a disseminare il territorio di telecamere ed occhi elettronici, bensì quella che è in grado di modificare i comportamenti individuali dominati da una forte componente aggressiva, imprudenza, violazione diffusa delle regole.

Questa volta il fatto, irreparabile, è avvenuto addirittura in un luogo teoricamente protetto per definizione: la pista ciclabile.

Molto spazio è stato dato nella recente campagna elettorale al senso di insicurezza dei cittadini rispetto alla microcriminalità, mentre ancora una volta poco o nulla si è discusso in merito al fatto che le strade italiane sono, da tempo, tra le più insanguinate d’Europa. E che a farne le spese, in termini di morti, feriti ed invalidi, sono in particolare i soggetti che la nostra normativa definisce “deboli” (bambini, anziani, diversamente abili, ecc.). Con costi individuali e sociali elevatissimi ed insopportabili.

E’ evidente che bisogna agire su più fronti: da una parte è necessario ridefinire il ruolo della strada come luogo di tutti, reso accogliente e sicuro anche attraverso il ridisegno degli spazi e gli interventi di moderazione del traffico; dall’altra bisogna rafforzare i controlli e la responsabilizzazione. Strade più sicure, utenti più informati e comportamenti più corretti.

Ormai da troppi anni si è scelto di sostituire l’attività di prevenzione dei cattivi comportamenti “quotidiani” degli italiani alla guida da realizzare attraverso un minuzioso controllo del territorio con un più comodo sistema sanzionatorio a “consuntivo” che ha avuto come unico risultato quello di far cassa: non si spiega altrimenti il fatto che la voce più “pesante” dell’attività delle Polizie Locali sia quella legata ai proventi delle contravvenzioni per divieto di sosta. E’ sufficiente girare a piedi e in bici nelle nostre città per accorgersi  di quali e quanto diffusi siano i comportamenti dei conducenti dei mezzi a motore che contribuiscono a creare un clima generale di insicurezza stradale. A partire dalla mitizzazione della velocità. E poi strutture inadeguate, segnaletica non appropriata, cattive abitudini, comportamenti imprudenti, regole aleatorie, scarsi controlli.



Ma noi non vogliamo rassegnarci a far la conta dei morti e feriti di una guerra non dichiarata. Vogliamo politiche incisive che partano dalla consapevolezza del problema senza ridursi a circoscrivere la responsabilità ai comportamenti, possibilmente devianti e marginali, con semplificazioni comode, specie sul piano della comunicazione mediatica (es. stragi del sabato sera, guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti), ma non realistiche.

La sicurezza stradale non nasce dal caso.

Servono politiche che affrontino finalmente il tema nella sua complessità cercando forme di prevenzione collettiva più che dispositivi di protezione individuale. Occorrono interventi che creino le condizioni di una svolta culturale coinvolgendo tutti i principali attori che si affacciano sulla strada. A partire dai ciclisti e dai pedoni.

Antonio Dalla Venezia
Presidente FIAB


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