Bandiere
martedì 21 maggio 2024 | di Patrizio Suppa
Pochi giorni fa a Livorno sono state sequestrate più di un centinaio di macchinette elettriche Fiat perché avevano un'etichetta tricolore sulla carrozzeria, e visto che sono prodotte in Marocco, potevano creare equivoci nei consumatori. Interessante discussione quella sul “made in Italy”, che sarebbe però interessante allargare a tutte le classi merceologiche. Provare a comprare il pigiama di un marchio italianissimo, una scatola di cereali di un supermercato o una lavatrice. Probabilmente potreste trovare una scritta “designed in Italy”, che è come una autocertificazione di produzione estera. Qual'è il limite del “made in Italy”? Il prodotto deve essere progettato e prodotto in Italia per meritare questa definizione, o è sufficiente avere solo una fase di queste sul nostro territorio? E cosa dire del secondo costruttore di auto che il Governo sta cercando di far arrivare in Italia? Se sarà un marchio cinese, saranno considerate comunque auto italiane? Sono d'accordo con la promozione della produzione italiana, ma non per nazionalismo: produrre e consumare locale, quando possibile, riduce trasporti ed emissioni. Non è poco. Per chiudere, ho letto sul “Messaggero” una frase del ministro per giustificare l'arrivo di un nuovo costruttore di auto in Italia: “Ogni anno si producono 500.000 auto e se ne immatricolano tre volte di più. Dobbiamo colmare questo divario”. Per colmare il divario di possono costruire più auto o immatricolarne di meno: la scelta fatta è chiara, ma temo che sia sbagliata.
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