I ciclisti sono indisciplinati?


Riteniamo che sia il momento di fare una riflessione sugli effetti che le scelte degli amministratori hanno avuto sul tessuto urbano e in particolare sulle città, che sono state nel tempo modificate in funzione dell'automobile, senza tener dello scopo per cui erano nate: ospitare i cittadini.

Ad esempio il senso unico di marcia è nato per regolare il traffico motorizzato, quindi, il cittadino che non è solito utilizzare la bici come mezzo di spostamento quando vede un ciclista andare “contromano” pensa semplicemente che sia maleducato o che sia un “anarchico a pedali”.

In pochi sanno che la bicicletta è il mezzo maggiormente esposto a rischi e che, dunque, i ciclisti sono una categoria particolarmente sensibile ai pericoli del traffico cittadino anche quando il Codice della Strada viene rispettato alla lettera. Purtroppo ciò che le amministrazioni locali fanno per tutelare i ciclisti e rendere più sicuri i loro spostamenti è ad oggi decisamente insufficiente.

Per questi e altri motivi, quindi, sono molti gli utenti che rinunciano all'uso giornaliero della bici. Eppure pedalando si arriva più rapidamente alla meta, perché la viabilità ciclabile non crea ingorghi e code (da qui l'idea degli automobilisti che le piste ciclabili siano perennemente inutilizzate, quando basterebbe posizionarsi sul varco di via Cavour per vederne passare anche 200 in un’ora). La bici contribuisce a snellire il traffico ma soprattutto a migliorare lo stile di vita del singolo e della comunità. Gli “anarchici a pedali”, quindi,  non sono semplicemente in cerca di scorciatoie ma sono soprattutto in cerca di itinerari sicuri e razionali – in quanto la mobilità ciclistica è ben diversa da quella automobilistica. Gli amministratori locali dovrebbero trarre, dall’osservazione di tali comportamenti, le buone pratiche per progettare la mobilità di domani a misura di uomo e non di macchina.

Da tempo in diversi paesi europei vige per le bici il permesso di andare in senso contrario a quello di marcia al fine di integrare la rete ciclabile senza grandi investimenti, ma qui a Firenze sembra impossibile raggiungere tale compromesso. Perché? Ci viene risposto che le strade sono troppo strette e che bisognerebbe togliere posti auto! Già, perché i posti auto sono stranamente sempre inferiori alla necessità ma non si pensa mai che siano le auto ad essere al di sopra delle possibilità di parcheggio. Non a caso l'Italia è uno dei paesi con il maggior tasso di motorizzazione e certamente Firenze, con il suo impianto medioevale-rinascimentale, non è conosciuta per le sue larghe strade. Tuttavia molte esperienze mettono in luce che strada stretta, limite di velocità di 30km/h e segnalazioni di controsenso ciclabile rendono quella strada più sicura per tutti gli utenti.

Dopo decenni di propaganda in favore del veicolo privato a motore come indice positivo di qualità della vita e soluzione ai problemi di mobilità siamo ormai abituati a considerare l'automobile come regina e padrona incontrastata delle strade. Si tratta però di un concetto da superare visto che ad oggi l’eccessiva diffusione delle auto è un problema quotidiano: inquinamento, traffico, incidentalità. Purtroppo  a causa di un mix di disinformazione e rassegnazione questi disagi non vengono percepiti come problema reale. La logica conseguenza è additare il più debole sia egli ciclista o pedone.

Prima di accusare chi va in bici forse sarebbe opportuno fare un giro in città come ciclista urbano, magari portando con se un po’ di buon senso e di onestà intellettuale: ciclabili interrotte, segnaletica inadeguata, posti in rastrelliera introvabili, automobilisti che di fronte a una bici non rispettano il CdS, etc. Solo così ci si renderebbe conto di quanto sia difficile condurre la propria bici e si potrebbe affrontare il tema della sicurezza reale basata su fatti e non su convinzioni.

La mobilità ciclistica urbana ha bisogno di regole dedicate in assenza delle quali i ciclisti dovranno continuare ad adattare alle proprie esigenze un codice scritto per altri...

Chi scrive articoli per fare opinione spesso non è capace di distinguere tra utenti virtuosi ed indisciplinati; le uniche distinzioni sono tra categorie: automobilista, pedone e ciclista (ovviamente indisciplinato), senza però considerare che alcuni comportamenti di questi ultimi spesso sopperiscono alle carenze di una città che non percepisce la bici come un mezzo di trasporto risolutivo del traffico. Se si progettano nuove ciclabili di solito è per spendere fondi, siano essi statali, regionali o europei, e non per rispondere alle esigenze effettive della mobilità ciclistica. Il nostro è un invito a provare la bici per spostarsi in città, magari confrontandosi con chi già lo fa e documentandosi sulle buone pratiche ormai internazionalmente riconosciute. Occorre montare in bici per capire l'esperienza quotidiana del ciclista urbano, interpretarne le esigenze e dare le adeguate risposte tecniche, politiche e - perché no - giornalistiche.  

Michela Rizzuti
(Consigliere associazione FIAB Firenze Ciclabile ONLUS)

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